sabato, dicembre 09, 2006

Lettera a Piergiorgio Welby

Preg.mo sig. Welby, ho pensato di scriverle per esprimerle la mia personale solidarietà.
Devo premettere che se dovessi trovarmi nella sua situazione credo che non chiederei di morire, ritengo però giusto che il suo grido è da comprendere e dovrebbe essere ascoltato.
In questi giorni ho letto tante cose, ho letto appelli, ho letto che altri che vivono la sua stessa situazione sono invece aggrappati alla vita.
Proprio questo mi fa pensare come certe situazioni sono fortemente personali e non può essere una legge a dire cosa fare o non fare.
Il dolore, la sofferenza appartengono ad ognuno di noi ed ognuno li vive in modo differente, c'è chi li accetta come castigo divino o come prova divina, chi li accetta come l'altra faccia del piacere, ma c'è chi non riesce a sopportarli.
Quante volte difronte a nostri cari ammalati abbiamo pregato il Signore di prenderlo a sè pur di evitargli le sofferenze, certo ci rimettiamo nelle mani di Dio, ma comunque è la morte che invochiamo.
Quante famiglie e vite si consumano e si distruggono nella cura dei propri familiari perchè molto spesso lasciate sole.
Siamo così bravi a parlare di difesa della vita a farci paladini della vita come bene sacro da difendere ad ogni costo e poi non riusciamo a fare qualcosa per restare accanto a chi soffre, a stimolare la ricerca che forse potrebbe aiutare a vivere meglio certe situazioni.
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