martedì, maggio 18, 2010

Lettera a mio figlio

Caro Francesco è la seconda volta che scrivo qualcosa a te o per te, la prima non c’eri tu ora non ci sono io.

La prima è stata questa poesia, avevo vent’anni

A te che un giorno
dal mio amore
nascerai
Lo so che il mondo
nel quale verrai
non è certo bello
ma tu non farti prendere
dall’illusione
di una facile avventura
segui sempre
la tua strada
e vedrai che il mondo
ti sembrerà almeno abitabile
anche se gli altri
cercheranno di distruggere
i tuoi sogni
tu lotta sempre
con tutte le tue forze
un’ultima cosa ancora
e poi ti lascio la tua vita:
non farti legare ai polsi
nessuna catena.

Adesso lo faccio con questa lettera.

Oggi è il giorno del mio funerale o almeno credo, da quando non ci sono ho perso la cognizione del tempo e dello spazio. Chissà com’è il tempo, sai ho sempre pensato che il giorno del mio funerale pioveva. Non chiedermi perché, non saprei risponderti.
Posso solo dirti che la mia morte l’ho immaginata molte volte chiedendomi come sarebbe stata: naturale, violenta, sofferta, ma c’era sempre la pioggia.
Ora che davvero è arrivata di lei non so niente, mi sento solo sospeso nel vuoto, come in attesa.
La morte, la mia in particolare, devi sapere non mi ha mai spaventato,
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo.”
Versi di Cesare Pavesi che ogni tanto leggevo per ricordarmi che la morte era lì accanto a me a farmi compagnia come tanti altri miei pensieri.
“La morte verrà all'improvviso
avrà le tue labbra e i tuoi occhi
ti coprirà di un velo bianco
addormentandosi al tuo fianco
nell'ozio, nel sonno, in battaglia
verrà senza darti avvisaglia
la morte va a colpo sicuro
non suona il corno né il tamburo.”
Un altro grande poeta Fabrizio De Andrè e anche questi versi mi hanno fatto compagnia.
L’unica cosa che della morte mi ha sempre “disturbato” è stato pensare di non poter sapere come poi andrà a finire, sai sono curioso e non sapere quello che ci sarà dopo, dalla parte dei vivi, mi dispiace.
Invece del mio dopo la morte non mi è mai interessato, ho sempre pensato che se non c’è Dio, o comunque “un’autorità ultraterrena”, le mie ceneri, spero ti sarai ricordato di cremarmi, sarebbero diventate sempre più polvere e la mia anima sarebbe rimasta a vagabondare in qualche dimensione. Se invece Dio esiste credo che avrebbe soppesato le mie azioni da vivo e scelto per me una collocazione per la mia anima.
Non ho mai vissuto pensando al dopo, se ho voluto fare qualcosa l’ho fatta. L’unico principio che ha ispirato le mie azioni è stato il rispetto degli altri. Soprattutto se gli altri erano più deboli di me, a volte mi sono quasi annientato per gli altri, forse potrei dire di non aver avuto rispetto di me pur di salvaguardare gli altri.
Non sempre questo è stato capito e non so quanti l’hanno apprezzato, ma ad essere sincero di questo a me, caro Francesco, non me ne frega niente.
Chissà che peso avrà questo sulla sua bilancia e chissà quanto peseranno certe mie idee. Il rispetto degli altri vuol anche dire per esempio permettere a due omosessuali di sposarsi, il diritto a volersi bene non può essere solo degli eterosessuali e anche tanti altri diritti.
Forse tra un poco saprò come saranno pesate le mie idee e le mie azioni.
Non so se sono stato un buon papà e quali esempi della mia vita potranno esserti utili. Io non ti ho mai considerato mio, nel senso di mia proprietà. Non ho mai pensato di dover scegliere io per te o importi comportamenti, sin da quando con tua mamma mi sono assunto l’impegno di farti nascere, ho creduto che tu appartenessi solo a te stesso. Darti la vita è stato un modo per proiettarti verso il futuro al quale io non avrei potuto appartenere e al quale non apparterrò, forse proprio perché i figli sono il futuro sopravvivere ad essi è qualcosa di tragico, è come togliere un pezzo di futuro.
Non so quanto ti ho lasciato e se il mio ricordo potrà servirti a qualcosa, ma sappi che ti ho sempre voluto bene.


Con affetto, papà. Condividi

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