martedì, gennaio 02, 2007

Lettera all'anno vecchio e a quello nuovo.

O giorni, o mesi, che andate sempre via; sempre simile a voi è questa vita mia; diverso tutti gli anni e tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare. (Canzone dei dodici mesi - Francesco Guccini)
Carissimi, sono stato indeciso fino ad oggi non sapevo se scrivere prima che l'anno appena trascorso finisse o dopo, poi ho deciso per dopo, senza però un motivo preciso.
Come ogni anno quando un anno si congeda e l'altro arriva si fanno bilanci e buoni propositi.
Non voglio fare un bilancio dell'anno appena trascorso perchè, come spesso accade, si finisce per ricordare soprattutto le cose meno belle, preferisco ringraziarti per esserci stato ho così potuto fare nuove esperienze da cui trarre consigli e suggerimenti per il futuro.
Spero che ti starai godendo un pò di meritato riposo, scusa se ogno tanto ti richiamerò per pescare avvenimenti trascorsi, ma i ricordi spesso aiutano.
Non ho per te che sei appena arrivato buoni propositi da fare, prenderò quello che verrà cercando di tanto in tanto (o magari spesso) di aggiungere qualcosa di mio.
Da un pò di tempo correte e trascorrete molto più in fretta, "avevo pochi anni e vent'anni sembran pochi poi ti volti a guardarli e non li trovi più (Bufalo Bill - Francesco De Gregori), e starvi dietro è sempre più difficile.
Ricordo quando avevo 15/16 anni che eravate più lenti, per passare un anno ci voleva un'eternità e ora che la maturità ci fa vivere meglio ogni istante ve ne andate in fretta, l'unico modo per starvi dietro è forse quello di non pensare a quello che verrà, non è un invito al vivere alla giornata, ma prendere tutto quello che mi sarà dato e viverlo con intensità.
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati, seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam,quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevispem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invidaaetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
(Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a tequale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri, o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà: se molti inverni Giove ancor ti conceda o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino – breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo e fugge il tempo geloso: cogli l'attimo, non pensare a domani.)
Dai Carmina di Orazio Condividi

1 commento:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie